Tu non sei più quel famoso Eracle

pillola di Lorenzo Barbato

Immagine Eracle con bordino
Antonio del Pollaiolo, “Eracle e l’Idra”, tempera grassa su
tavola, 1475 ca., Firenze, galleria degli Uffizi

“Tu non sei più quel famoso Eracle”: ma come? Una frase che critica, infanga o, forse peggio, compatisce il più grande degli eroi greci? E’ come se Stan Lee dicesse che i supereroi non gli stanno simpatici. Eppure questo è il verso, tratto dall’Eracle di Euripide, che ha scelto Giorgio Ieranò, docente dell’Università di Trento, come titolo dell’incontro da lui tenuto all’interno del percorso Tragedia: teatro e destino. Come si spiega una prospettiva così ‘tragica’, così evidentemente destabilizzante? Sembra di essere davanti ad una vera e propria crisi di identità dell’eroe, come avviene in tanti romanzi e film del Novecento, dall’Ulisse di J. Joyce al Cavaliere oscuro di C. Nolan.

L’eroe è una figura polimorfa, molteplice e di per sé contraddittoria. Egli si trova spesso a mutare aspetto e natura, entra in crisi nella sua continua evoluzione psicologica, diventando, da modello, un problema. Non è un essere fisso nella sua esemplarità, ma si carica di un realismo che lo rende umano: non si presta a giudizi univoci e definitivi. Pensando all’epica, l’eroe è spesso colui che, nella sua dimensione mitica, oltre ad essere paradigmatico per i suoi comportamenti, è partecipe delle vicende leggendarie che stanno alla base della formazione della civiltà che lo ha creato in quanto mito.

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Νόμος, φύσις, semafori rossi

pillola di Fabio D’Aguanno

Imm Semafori rossi 2
Semaforo rosso in Viale Cesare Battisti, a Monza (MB), città sede del liceo

È notte. Sei in macchina. Stai tornando a casa dopo una cena. Sul sedile del passeggero un amico. Per strada neanche un’anima viva.

Arrivi ad un incrocio. Semaforo rosso. Nessuna traccia di altre automobili per chilometri e chilometri. La strada è un deserto.

Eppure, ti fermi. “Cosa aspetti?” ti chiede l’amico. “Vai. Non c’è nessuno. Nessuno ti vede. Nessuno ti multerà. Non succederà assolutamente niente. Che ti importa del semaforo?”. E invece no: tu ti fermi, e aspetti finché non scatta il verde.

Diciamolo: per comportarti così devi davvero essere un idiota. Oppure un genio.

Questo semplice racconto attualizza, con le dovute proporzioni, un tema filosofico assai caro agli antichi Greci. Un tema vecchio di millenni eppure sempre vivo: nell’Atene classica si sarebbe parlato di “νόμος καὶ φύσις”, noi oggi, più prosaicamente, diremmo “contrasto tra istinti naturali e leggi positive”. Espressione poco affascinante, che non rende appieno la profondità di significato dell’originale greco.

Cosa è il νόμος? È la “legge”. Legge nel senso di principio regolatore della convivenza, di norma che presiede alle relazioni, di insieme di imposizioni all’interno di una comunità.

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Alla ricerca del bello

pillola di Marco Niccolini

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Affresco del 480-470 a.C., Tomba del Tuffatore, sito archeologico di Paestum

Nella società del ventunesimo secolo la bellezza dell’apparire è spesso la massima aspirazione di un essere umano. Si stanno sviluppando gradualmente numerosi mestieri (come i fashion blogger, gli style director e così via) il cui unico compito è occuparsi di ricercare un’immagine che colpisca per la sua bellezza esteriore.

Ma che cosa è bello? E’ bello ciò che piace, come spesso si sente dire? Oppure esiste una bellezza universale, che si impone all’evidenza?

Può essere molto interessante intraprendere un viaggio indietro nel tempo e considerare le riflessioni che su questo tema ha espresso uno dei più grandi filosofi della storia: l’ateniese Platone, il discepolo di Socrate fondatore dell’Accademia (IV secolo a.C.), a cui è stato dedicato il percorso Eros e bellezza nel Simposio e oltre.

Per Platone la il concetto di Bellezza in sé non si esaurisce nelle cose belle di questo mondo, ma esiste come pura idea, che può essere contemplata al culmine di una ricerca filosofica. Per natura l’uomo tende alla ricerca di questo “bello in sé” spinto da una potente forza attrattiva, che per Platone è eros, l’amore.

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Il filosofo con i piedi per terra

pillola di Alice Pirotta

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Raffaello Sanzio, particolare da “La scuola di Atene”, affresco, 1509-1511, Stanze Vaticane

Vi siete mai chiesti che senso possa avere studiare oggi la filosofia di Platone, vissuto 2500 anni fa? Quale valore può avere per la nostra vita quotidiana? Egli mira all’universale e questo sembra portarci fuori dalla realtà, nel mondo delle idee. Ma se esaminiamo bene il suo pensiero, troviamo che Platone si poneva domande molto concrete, relative alla vita degli uomini e all’organizzazione della società. Ancora oggi la costruzione di relazioni sociali fra popoli diversi può trovare spunti nei principi anticipati da questo celebre filosofo. Come si può pensare di vivere in un mondo pacifico e armonioso senza creare un terreno comune tra popoli, che, incontrandosi, decidano quali siano i valori universali di buono e giusto che debbano valere per tutti e garantire una pacifica serenità?

Sebbene sia difficilmente separabile dal contesto storico in cui è stata elaborata, la riflessione filosofica di Platone per certi aspetti è comunque in grado di influenzare il nostro modo di pensare, al punto da sollevare numerose obiezioni fino ai giorni nostri.

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